Nel Giorno della Memoria ricordiamo Arpad Weisz, l’allenatore che rivoluzionò il gioco del calcio e che morì ad Auschwitz.
Sei milioni di vittime. Uccise nei modi più barbari possibili. Vittime della brutalità e della follia. Sono passati 75 anni da quando tutto venne alla luce, ma avvenimenti recenti suggeriscono che la memoria va tenuta viva.
La colpa risiedeva nell’appartenenza a una comunità sgradita. Non fecero alcuna differenza la ricchezza, il rango sociale, la professione. Tutti uguali nell’essere considerati “sbagliati”.
E tra loro anche gli sportivi. Atleti olimpici, calciatori. Nella tragedia dell’Olocausto furono tra i 50 e i 60 mila gli atleti internati e uccisi. Tra loro 221 di altissimo livello. Tutte storie simili. Osannati fino al giorno prima, sgraditi il giorno dopo. Molti provarono a fuggire e a nascondersi, ma spesso non bastò.
E a volte ci si mise anche la sfortuna. Molti riuscirono a mettersi al sicuro e a fuggire, ma la guerra li fece ritrovare nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Come accadde ad Arpad Weisz. Ungherese di nascita, Arpad fu un discreto calciatore. Ma un brutto infortunio mise fine alla sua carriera. Era il 1926, e Arpad decise che il calcio sarebbe stato comunque la sua vita. Cominciò l’apprendistato di allenatore.
In pochi anni diventò un guru, un punto di riferimento per i colleghi e gli addetti ai lavori. Era idolatrato dalle folle. Fu il primo allenatore a introdurre nel calcio lo studio e l’allenamento degli “schemi”. Fu il primo allenatore in Italia a vincere lo scudetto con due squadre diverse (Inter e Bologna). Vinse il primo scudetto a soli 34 anni, record tuttora imbattuto.
Arpad Weisz, dalla panchina al lager
Scoprì il talentuoso Giuseppe “Pepìn” Meazza e fu il primo a trionfare al Torneo dell’Esposizione Internazionale di Parigi, competizione antesignana della moderna Coppa dei Campioni.
L’Italia diventò la sua seconda patria. Ma all’arrivo delle infami Leggi Razziali nel 1938, Arpad scoprì che non era poi così ben voluto. La sua colpa infamante stava nell’essere ebreo. Non contavano le vittorie.
Weisz decise di lasciare l’Italia in direzione di Parigi, dove pensava di avere trovato rifugio. In cuor suo Arpad sperava di trovare una nuova squadra. Ci riuscì, ma in Olanda. Fu ingaggiato dal Dordrecht, club modesto con cui raggiunse risultati mai più neanche avvicinati.
Purtroppo però i destini della guerra portarono i nazisti a invadere l’Olanda, e la Soluzione finale era già stata decisa. Nulla si poteva fare contro la Gestapo. All’inizio di agosto del ’42 Arpad e la famiglia vennero deportati prima a Westerbork e poi ad Auschwitz.
Moglie e figli furono subito uccisi, Arpad resistette due anni, sfruttato in un campo di lavoro. Morì nelle camere a gas il 31 gennaio 1944, a soli 47 anni.
Dimenticato per quasi 60 anni, a ricordarlo oggi rimangono soltanto delle targhe negli stadi di Bologna e di Milano. – Nella foto la formazione dell’Ambrosiana Inter allenata da Weisz, da Wikipedia.