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Giuseppe Frittitta arrestato: tradito dai selfie col suo ‘compare 26 cm’ – Video

La sezione antiterrorismo della Digos di Palermo ha arrestato Giuseppe Frittitta, tradito dai selfie, insieme ad un marocchino di nome Ossama Gafhir.

La Digos per mesi li ha tenuti sotto controllo: in rete e nelle conversazioni via web, invocavano l’uccisione di “tutti gli occidentali miscredenti”.

Si sono addestrati per mesi per compiere atti terroristici, preparandosi all’uso di armi e allenandosi per raggiungere la preparazione fisica e militare necessaria.

I due fanno conoscenza su internet: il marocchino 18enne avrebbe spinto Frittitta alla radicalizzazione e all’addestramento per combattere a fianco ai jihadisti in Siria.

I pm di Palermo muovono contro di loro accuse per istigazione a commettere reati di terrorismo e auto addestramento per compiere atti terroristici.

L’inchiesta che ha portato ai fermi è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, da Marzia Sabella e dal pm Gery Ferrara.

Il palermitano vive ora a Brescia dove fa l’autotrasportatore, si fa chiamare Yusuf, e si è sposato molto recentemente con una giovane cittadina marocchina.

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Giuseppe Frittitta tradito dai selfie

Si faceva selfie, che poi postava sui social, con in mano un coltello che definiva “il mio compare 26 centimetri“.

Si era fatto crescere una lunga barba nera e inneggiava alla vendetta dei combattenti dell’Isis morti in battaglia.

Secondo i pm, il palermitano e il marocchino acquisivano materiale video con istruzioni per la partecipazione ai combattimenti e studiavano tecniche di guerriglia.

Giuseppe diceva ai genitori: “Se avrò una figlia non ve la farò crescere come le vostre femmine, ma secondo i rigidi dettami della religione islamica“.

Frittitta e Ghafir praticavano il soft air, la simulazione di azioni militari, per imparare l’uso delle armi e per allenarsi fisicamente.

Per i magistrati sarebbero due “lupi solitari” che intraprendono il jihad senza una ben precisa e chiara organizzazione.

Sono spinti e motivati solo dal crescente odio verso i Kuffar, parola araba che indica la persona che non crede nel Dio islamico.

Insomma due mujaheddin virtuali secondo la Procura, che promuovono una guerra culturale, anche a colpi di tweet e di notizie indirizzate alla propaganda radicale.