È morto a 41 anni in un incidente con l’elicottero Kobe Bryant, ex giocatore di basket, per vent’anni in NBA con i Los Angeles Lakers.
È molto dura per un appassionato di sport reagire a certe notizie. Quando si leggono ti si stringe lo stomaco e inizi a rincorrere tutti i siti possibili sperando che arrivi prontamente la smentita.
Purtroppo la smentita non è arrivata e la notizia per il mondo del basket è delle peggiori. Un incidente in elicottero sulle colline fuori Los Angeles ha messo fine alla vita di Kobe Bryant, 41 anni, e di altre 8 persone, tra cui sua figlia Gianna di 13 anni.
Nato a Philadelphia e cresciuto in Italia (il padre era giocatore di basket professionista), amava profondamente il nostro Paese. Parlava fluentemente italiano ed era grande tifoso del Milan. Al momento dell’incidente era diretto a una partita della figlia, anch’essa grande talento del basket.
Kobe è stato un personaggio incredibile, sul campo è stato quasi ineguagliabile. Così letale con i suoi avversari da essere soprannominato “Black Mamba”, come il serpente più velenoso del mondo.
Kobe Bryant e l’etica del lavoro
Nel basket NBA, Kobe aveva preso il posto di Michael Jordan nel cuore dei tifosi, fin dall’inizio della sua carriera tra i pro nel 1996, a soli 18 anni. Un talento smisurato e un’etica del lavoro al limite del maniacale lo hanno portato a essere il migliore indiscusso per quindici anni. Kobe arriva così a collocarsi nell’Olimpo del basket, tra i primi cinque di tutti i tempi nel suo sport.
Sarebbe troppo facile snocciolare il suo palmares sul campo da gioco. Basterebbe dire che Kobe era uno di quelli che se dovevano fare qualcosa lo facevano al meglio, tanto da riuscire a vincere anche un Oscar con un film da lui scritto, Dear Basketball.
Con i vent’anni in canotta giallo viola dei Los Angeles Lakers, è stato punto di riferimento e mito per almeno due generazioni di cestisti. Osannato dai tifosi e temuto dagli avversari. Ron Artest raccontava:
“Sapevo della sua ossessione per il lavoro da solo e mi convinsi che, anche solo per un giorno, sarei dovuto arrivare in palestra prima di lui. Il primo giorno giunsi al palazzetto due ore prima dell’allenamento, e me lo trovai lì. Allora mi presentai tre ore prima dell’allenamento, e lui era lì. Il giorno dopo, per ripicca, arrivai 4 ore prima dell’allenamento, e lui era lì. Mi parve incredibile e gli chiesi “Ma non hai due bambine da portare a scuola?” “Certo, mi disse, le ho portate alle otto”. “Non è possibile, sono arrivato alle sette e mezzo e ti ho visto qui”. “Tu mi hai chiesto se ho portato le mie figlie a scuola, non a che ora sono arrivato”.
Questo era Kobe e nonostante non giocasse più da qualche anno, solo adesso il vuoto è diventato veramente incolmabile.