Il dottor Manera è medico chirurgo e anestesista all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ed è stato intervistato da Virginia Camerieri su Byoblu24.
Il medico ha iniziato il suo intervento spiegando come hanno scoperto che la causa dei decessi nei malati Covid-19 fosse la coagulazione intravascolare disseminata e non la polmonite interstiziale.
«Io sono un clinico e ho lavorato in reparto, direttamente a contatto con i pazienti. Ci hanno negato di fare le autopsie. Se vi ricordate era stato espresso un divieto», ha aperto così il suo intervento il medico.
«Due colleghi anatomopatologi “dissidenti” del Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno iniziato a fare le autopsie sui primi casi, parliamo ancora di marzo, anche se in un certo senso avevano scoraggiato e vietato questa pratica».
Dottor Manera e colleghi scoprono la causa dei decessi
Il dottor Manera ha spiegato che grazie alle autopsie sono arrivati a capire quale fosse la causa dei decessi da Covid-19.
«Iniziammo a capire, anche grazie alla TAC, all’angioTAC e ad altri esami specifici, che i pazienti presentavano una coagulopatia intravasale disseminata, detta CID. La malattia era in realtà un’infiammazione estremamente acuta del sistema vascolare arterioso che causava problemi clinici molto diversi da quelli di una comune polmonite interstiziale», ha specificato.
Hanno condotto le prime autopsie a marzo «quasi di nascosto» ma, dopo gli esiti, i medici ebbero un quadro più completo. Associandoli ad altri dati, come le fasi dell’andamento clinico della Covid, nel giro di poco tempo hanno capito quale fosse il punto cruciale.
«Abbiamo iniziato a trattare il paziente Covid come andava fatto. Abbiamo capito che il punto cruciale era un adeguato trattamento domiciliare, perché è questo quello che è mancato in tutta la vicenda».
Il dottor Manera ha poi continuato: «L’altro aspetto di cui vorrei parlare è che tutto ciò che è ruotato intorno alla condotta, sia economica che politica, del Covid è il numero di morti: è stato la base di tutto».
Ma ha poi aggiunto: «Noi sappiamo dall’inizio che la mortalità di questa malattia è bassa. Tutti gli statistici, gli epidemiologi e i ricercatori adesso si stanno orientando verso una diversa lettura dei dati. Adesso prendono in considerazione il numero di nuovi casi, il numero dei ricoverati in terapia intensiva e il tasso di ospedalizzazione. Questo cambia realmente e drasticamente il modo di vedere le cose».
Pazienti a rischio e conseguenze del lockdown
«Una caratteristica comune di tutti i pazienti che andavano incontro alle complicanze, era un’infiammazione di base preesistente. L’ho dichiarato il 19 marzo ma non mi hanno preso in considerazione».
Il medico di Bergamo ha riscontrato alcuni tratti caratteristici in tutti i malati che andavano incontro a peggioramenti clinici significativi: ipertensione, dislipidemia, diabete, obesità.
Il dottor Manera ha quindi aggiunto: «Su queste condizioni l’unica possibilità che abbiamo di intervenire è lavorare a livello di prevenzione, altrimenti non usciremo mai da questo circolo vizioso. Avremmo sempre persone suscettibili a questa forma patologica, perché minore è lo stato di salute preesistente maggiore è la facilità ad ammalarsi. Si lavora più per la cura che per la prevenzione».
A inizio aprile aveva ipotizzato che un’altissima percentuale di pazienti lombardi fossero già stati contagiati dal virus: «Questa mia affermazione è stata poi confermata dal dottor Pasquale Bacco che ha dato dei numeri impressionanti sul numero di contagi. Parla di anticorpi di vecchia data, quindi pazienti che erano venuti a contatto col virus già da ottobre 2019. Questo, insieme al conteggio dei morti, cambia completamente il nostro modo di vedere e fronteggiare questa epidemia».
Inoltre non ha escluso il ritorno di una nuova ondata in autunno ma con un virus che sarà estremamente mutato: «Il virus sta cambiando, ci sono tantissimi ceppi differenti, quindi la possibilità di formulare un vaccino è un’impresa quasi impossibile e con dubbia efficacia».
Quello che preoccupar il dottor Manera va oltre il virus: «Ben più grave è l’aumento dei casi di burnout causati dal lockdown, dalla perdita di lavoro, dalla reclusione forzata e dalla paura. Questa credo che sia l’epidemia più forte di tutte a cui dovremmo prepararci e mieterà molte più vittime rispetto alla Covid-19».