La fine è vicina. Convertitevi o morirete. No. Non è la predicazione di un testimone di Geova che ha appena citofonato la domenica mattina sotto casa, né l’oscura profezia di un frate medievale millenarista.
Siamo invece al vertice Onu sul clima, tutti in tailleur e in giacca e cravatta, e a parlare così è Greta Thunberg. Che avrebbe anche ragione su molte delle cose che dice, se solo i suoi seguaci, con il loro fanatismo, la smettessero di enfatizzare i tratti apocalittici e ricattatori del suo messaggio.
I cambiamenti climatici sono un’evidenza scientifica. Non è invece un’evidenza scientifica, ma solo un’ipotesi, che questi cambiamenti siano provocati principalmente dalla produzione umana di CO2, e che se non rivoluzioniamo, adesso, modelli di vita e di sviluppo, tutto ci porterà verso una catastrofe irreversibile.
Nella misura in cui i toni di Greta lo fanno invece intendere, le sue invettive si basano su presupposti scientificamente indimostrati e, soprattutto, rappresentano un inaccettabile ricatto politico, del tipo Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.
La “terra verde”
Se, infatti, l’alternativa alle precise proposte della Thunberg è il collasso dell’ecosistema, allora non ci sarà spazio per le critiche o per chi ha una diversa opinione.
Chiunque si opponga all’ortodossia catastrofista – e sta già succedendo ai tanti climatologi e scienziati che non condividono l’ecologismo apocalittico della Thunberg – sarà bollato con l’infamante epiteto di “negazionista”, e saremo tutti costretti, dallo stato di emergenza e dalla paura, a eseguire ciò che gli eco-esperti ci detteranno, magari in accordo con le imprese di “green technology” già pronte per gli appalti.
Questo non significa, si badi, che a livello locale non occorra impegnarsi in politiche ambientali più rispettose dell’ecosistema, anche nella direzione indicata da Greta.
Nel dubbio che anche l’attività umana incida sui cambiamenti climatici, infatti, è ragionevole adottare un atteggiamento prudente, di salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità. Ma con realismo politico e senso della giustizia, senza fanatismi.
Quando i vichinghi scoprirono l’attuale Groenlandia, nell’anno Mille, i bretoni la chiamarono appunto “Greenland”, “terra verde”. Che oggi e’ però interamente ricoperta di ghiaccio. Ergo: non siamo nell’era più calda nella storia del pianeta. Anzi.
Mille anni fa c’era molto più caldo di oggi, e in una fase della storia in cui l’incidenza delle attività umane sul clima era pressoché nulla. Nel IV secolo a Roma nevicò e nel XVII secolo in Gran Bretagna si coltivava la vite.
Il consumatore occidentale
Sono solo alcuni esempi, che però aiutano ad accostarsi alla questione del “surriscaldamento globale” con maggior senso critico e senza allarmismi.
Che, spesso, hanno solo lo scopo di far passare determinate politiche senza un’adeguata deliberazione democratica e, soprattutto, sotto il ricatto di un’emergenza planetaria di cui solo un’élite di esperti sarebbe in grado di cogliere la natura e prevedere gli esiti.
Al di là del doveroso impegno politico richiesto, allora, perché questa vera e propria “devozione verde”, con la sua ortodossia e i suoi eretici, i suoi buoni e i suoi cattivi?
Probabilmente perché nell’ambientalismo convergono tutti i bisogni inespressi del consumatore occidentale stanco e pentito, che si accorge, improvvisamente, che il benessere materiale non era tutto.
Ed ecco trovato un perfetto canale di sfogo: in Greta trovano espressione malcontento politico, nostalgia per un mondo più puro e incontaminato, desiderio di uno stile di vita più sobrio e semplice, oltre a un’ansia di ideali per i quali spendersi senza compromessi.
Si può persino ipotizzare che la recente fiammata di “entusiasmo verde” accesa da Greta non sia che l’altra faccia di un bisogno religioso insoddisfatto, non molto diverso da quello che spinge tanti cattolici italiani ad affidarsi a movimenti politici che promettono di riscattare la religione dal complesso di inferiorità che essa accuserebbe nei confronti di una società laicista e sul punto di “islamizzarsi”.
Greta e il populismo ambientalista
A quest’ultimo riguardo, nella figura e nel movimento promosso intorno a Greta troviamo tutti gli ingredienti per un genuino populismo, ma su scala globale anziché nazionale.
Greta rappresenta infatti quella figura carismatica alla quale affidarsi direttamente, al di là e contro i “potenti della politica mondiale”.
E come Bolsonaro, Orban e Salvini appaiono, nei rispettivi paesi, i salvatori della patria in lotta con le minacce della globalizzazione, così Greta appare come l’eroina populista di quella grande patria comune che è l’ecosistema.
Anche lei, come i sovranisti citati, ha una narrazione che descrive un nemico da cui difendersi, una sicurezza da tutelare e, soprattutto, soluzioni semplici per problemi complessi. – Foto Greta: Wikipedia