Strutture fatiscenti, mancanza di fondi e medici al di sotto delle aspettative: la Sanità pubblica rischia il collasso.
Di pochi giorni fa la notizia di un trapianto difficilissimo a Padova, vittima un uomo di 47 anni con un fegato inoperabile.
I medici, coordinati dal professor Umberto Cillo, direttore della Chirurgia Epatobiliare e dei Trapianti Epatici dell’Azienda ospedaliera dell’Università di Padova, hanno rimosso il 20 per cento di fegato sano (da un parente) e lo hanno trapiantato al posto di una porzione malata.
A 17 giorni dall’operazione e riscontrata la crescita del fegato sano, hanno eseguito un secondo intervento per eliminare il fegato malato. Un’operazione molto complessa ma riuscita alla perfezione.
Ogni intervento è importante, anche il più banale e fortunatamente in Italia abbiamo medici competenti. Ogni tanto però, leggiamo notizie di errori in sala operatoria che compromettono la vita del paziente, in alcuni casi, senza ritorno.
L’errore non è mai voluto e quando capita è giusto che il medico ne risponda d’avanti ai magistrati. Accade anche di ricevere diagnosi completamente sbagliate.
In questi ultimi anni ho avuto modo di constatare, mio malgrado, una certa superficialità da parte di molti medici nei riguardi dei loro pazienti, soprattutto se laureati da qualche anno.
Siamo davvero sicuri che le nuove generazioni abbiamo acquisito le giuste nozioni per entrare in sala operatoria? Possiamo essere certi delle loro diagnosi? E cosa ancora più importante: quanti medici credono nel Giuramento di Ippocrate?
Errori medici provocano più morti degli incidenti stradali
Pongo queste domande perché leggendo alcune notizie si fa fatica a pensare che “quel medico” abbia conseguito una laurea.
Secondo quanto riportato da un articolo de La Repubblica del 2006, gli errori medici provocano più vittime degli incidenti stradali.
In particolare “In Italia le cifre degli errori commessi dai medici o causati dalla cattiva organizzazione dei servizi sanitari sono da bollettino di guerra: tra 14 mila (secondo l’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri) e i 50 mila decessi all’anno, secondo Assinform”.
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Oltre l’intervento in sala operatoria o la semplice diagnosi, subentra anche un’altro aspetto molto importante che riguarda il comportamento degli operatori sanitari.
Dal primario all’infermiere, dal pediatra al medico di base fino alle ASL: per molti di loro servirebbe un corso di umanità. Mi rendo perfettamente conto che non è facile mostrarsi “gentili” o comprendere il paziente: devono salvare vite, non risultare simpatici e amorevoli.
Siamo d’accordo, ma quanto conta lo stato d’animo del paziente che deve sottoporsi a un intervento? Magari di corsa e senza anestesia? Pochi giorni fa mi è capitato di leggere il post Facebook di un’amica che riporto integralmente.
Il post di Marisa
“Ieri sono andata in pronto soccorso per una cisti infiammata nelle parti intime che andava assolutamente recisa poiché mi recava tantissimi dolori e problemi.
Non voglio entrare nello specifico, tengo solo a precisare che sono stata messa su un lettino senza un briciolo di spiegazione e recisa a crudo con un bisturi freddo come l’espressione della dottoressa che mi stava operando.
La sensazione che ho provato, oltre ai comprensibili pianti e alle comprensibili urla di dolore, è stata quella di non valere niente. Quella di essere un paziente X da trattare nel modo più sbrigativo e sterile possibile, nella corsa verso lo stipendio.
Io che sono un’ipocondriaca nata, ovviamente ero ben informata del fatto che un’operazione del genere tranne in rari casi, richiedesse un’anestesia locale.
Quindi, sono scesa barcollante dal lettino e ho chiesto delucidazioni sulla faccenda. Risposta: “se volevi un altro trattamento, andavi in una clinica privata”.
“Stanotte non ho dormito”
Premettendo che io grazie ai miei genitori la clinica privata me la posso permettere e che ero lì chiaramente per un’emergenza, le ho risposto tempestivamente che esistono le tasse e che dovrebbero esistere anche per assicurare a tutti un buon trattamento.
Le ho stretto la mano, e sotto shock sono uscita nel corridoio. Stanotte non ho dormito. Non per i dolori della ferita o perché come al solito il mio gatto quando percepisce che sto male mi salta sulla pancia e mi consola con le sue fusa.
Non ho dormito perché ho pensato tutta la notte che se avessi potuto, sarei tornata indietro e avrei subito nuovamente quel dolore lancinante solo per dirle che al di là delle tasse, delle non tasse e dello stipendio che le permetterà di essere felice perché può comprare tutto quello che vuole, non deve sentirsi superiore agli altri solo per la carica che ricopre.
Perché, almeno per me, la superiorità si misura nell’intelligenza sensibile e nell’umanità verso le altre persone, quella che ti permette di andare a dormire la sera e pensare “anche oggi sono stata una bella persona”.
Pazienti come numeri
La risposta della dottoressa si commenta da sola. Cosa vuol dire: “Se volevi un’altro trattamento andavi in una clinica privata”? Marisa avrà pensato di essere su “Scherzi a parte”.
Non voglio entrare nel merito da un punto di vista giuridico ma “invitare” il lettore ad altra riflessione: perché rivolgersi in quel modo e non provare ad avere un minimo di tatto?
Vi è mai capitato di parlare con un medico e dire: “Bah, non mi ha convinto, meglio ascoltare un altro”? Il più delle volte la risposta è determinata proprio dall’approccio del dottore.
Magari è molto più bravo di quello che riesce a farci sentire sicuri e compresi ma con il suo atteggiamento tende ad allontanarci.
Vogliamo spendere due righe su infermiere e infermieri? Certo avere a che fare con persone malate tutti i giorni non è una passeggiata, figurarsi quando le vedi morire. Però non giustifica un comportamento “aggressivo” o indifferente.
Vi ricordate le formiche sul corpo di una paziente all’Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli? Ecco, una situazione del genere come la vogliamo definire?
Lo ammetto: sono molto preoccupato per il nostro futuro da pensionati. Non perché difficilmente vedremo la pensione ma perché non avremo una Sanità capace di assisterci.
Sanità pubblica al collasso per mancanza di professionalità
Ero e resto convinto che qualora dovessimo avere un collasso non sarà per pochi fondi e macchinari vecchi ma per mancanza di professionisti.
Ho conosciuto giovani medici con un’arroganza indescrivibile. Sembrano tanti piccoli scienziati. Ma del resto, se gli esempi sono professori come Burioni, cosa dobbiamo aspettarci dalle future generazioni?
Lo dico indipendentemente dal tema dell’obbligo. Burioni è spocchioso, saccente, maleducato… è tutto quello che un medico non dovrebbe essere: l’esempio della decadenza. I frutti li stiamo già raccogliendo, figuriamoci tra qualche decennio.
C’è anche l’aspetto economico, ad esempio medici che meriterebbero stipendi molto più alti di quello che percepiscono oggi. Il problema è che non siamo capaci di dare il giusto valore alle professioni.
Un giocatore di calcio guadagna milioni di euro a stagione, ma salvare vite umane non è come inseguire un pallone. E non è una mera questione di indotto, abbiamo proprio sbagliato a dettare le “regole” al sistema.
Oltre ai meritevoli non mancano gli sciacalli, ovvero, medici che aprono cliniche private e operano quando non c’è da operare. E questi davvero non saprei come definirli, sciacalli è certamente riduttivo.
Ci sarebbe tanto da dire su tutto il sistema sanitario, ad esempio l’enorme differenza tra nord e sud che costringe persone a fare viaggi e a spendere cifre esorbitanti per stare vicino al parente malato; le diseguaglianze tra sanità pubblica e privata, tra strutture fatiscenti e cliniche messe a lucido; tra super professori con macchine all’avanguardia e dottori altrettanto capaci ma costretti a operare in emergenza e con attrezzature obsolete.
In questo articolo ho scelto di soffermarmi su un aspetto che ritengo comunque importante: quello umano. Anche perché se proprio dobbiamo soffrire, che almeno qualcuno ci porti conforto, visto e considerato che non costa nulla… per ora.