Il dottor Bacco, il magistrato Giorgianni e la dotteressa Gatti sono stati ospiti di Leonardo Leone per parlare dei kit per il test sierologico.
La scorsa settimana è andata in onda un’altra video intervista della rubrica Alla ricerca della verità sulla pagina Facebook di Leonardo Leone.
Gli ospiti presenti erano Pasquale Mario Bacco, medico, ricercatore e docente di Igiene del Lavoro, il magistrato Angelo Giorgianni e la ricercatrice Antonietta Gatti.
Si è parlato, tra i tanti argomenti, dei kit per il test sierologico: cosa sono, come funzionano, le differenze tra i vari kit e i tamponi.
Kit per test sierologico: come si usa e l’unico difetto
Ha introdotto questi kit il dottor Bacco, uno dei ricercatori che a inizio febbraio ha effettuato uno studio dove è stata rilevata una media nazionale del 34% di persone con anticorpi per il coronavirus.
«Il kit per il test sierologico è uno strumento attraverso il quale andiamo a individuare, all’interno del sangue umano, la presenza o meno di anticorpi contro un microrganismo: in questo caso il SARS-CoV-2».
«La presenza di un anticorpo indica che l’organismo è entrato in contatto col virus e che ha sviluppato una risposta immunitaria», ha spiegato il dottor Bacco.
«A seconda degli anticorpi che ritroviamo possiamo anche determinare più o meno i tempi in cui questa infezione si è manifestata: le immunoglobuline meno recenti IgG e quelle più recenti IgM che indicano che l’infezione si è manifestata da poco».
Nel caso in cui il test rilevasse le immunoglobuline M, il passo successivo sarebbe quello di effettuare il tampone, che non va a ricercare l’anticorpo ma il virus, e di solito risulta positivo.
«Questi kit per effettuare il test sierologico hanno un solo difetto che rappresenta anche l’unico margine di errore. Il nostro organismo, quando viene in contatto con il virus, non sviluppa subito gli anticorpi. C’è un periodo detto finestra che di solito si aggira intorno alle 48 ore, tempo in cui non sarebbe possibile rilevarli».
Il dottor Bacco ha poi continuato: «I kit sono serviti a fare una valutazione molto più rapida e concreta dei soggetti che sono entrati in contatto con lo stesso virus. Ci permettono di lavorare su masse molto importanti a differenza dei tamponi che hanno tempi molto più lunghi e sono più complicati da realizzare».
Differenza col tampone e i diversi kit
«Il funzionamento è molto semplice perché c’è un antigene che si va a legare con l’anticorpo in presenza di un reagente. Sono quindi molto diversi dai tamponi che usano reagenti molto complessi. Tra l’altro va detto che i tamponi non sono nati per il virus ma sono stati adattati», ha spiegato il dottor Bacco.
«Esiste un kit per un test sierologico rapido che può essere effettuato semplicemente pungendosi il polpastrello e dà un risultato nel giro di sette, otto minuti. Poi c’è un altro kit quantitativo che prevede un prelievo di sangue: oltre a definire se ci sono o meno gli anticorpi, ci dice anche la quantità e il tipo».
Questi ultimi individuano gli anticorpi neutralizzanti cioè quelli in grado di riconoscere e anche di bloccare il virus, che sono poi quelli più determinanti.
Il dottor Bacco ha però aggiunto: «In questo momento storico dobbiamo dire che i kit per il test sierologico, oggi, sono praticamente inutili. Non abbiamo motivo di andare a capire se un soggetto ha o meno gli anticorpi. Il virus è debole e per un’eventuale valutazione dell’immunità conviene farli a settembre. In caso di un ritorno del virus ci conviene avere una fotografia estremamente più vicina».
Ha poi concluso suggerendo l’unico utilizzo per questo momento: «Però ci sono due motivi per cui converrebbe farli oggi: lo studio degli asintomatici e la creazione delle banche del plasma iperimmune che oggi è l’unica terapia. Ma per entrambe queste due ricerche c’è bisogno di kit che consentano la ricerca degli anticorpi neutralizzanti». Foto: YouTube e YouTube
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