La sindrome del topo, terza e ultima parte [parte 1 e parte 2]
L’uomo topo è convinto di avere subito un’ingiustizia perché pensa di essere impossibilitato a cambiare la propria condizione, per via del destino, della sfortuna o di un dio che l’ha messo in questo cammino sventurato. In pratica la causa del proprio malessere non è attribuibile a se stesso ma a qualcun altro che non è lui. E maledice coloro che al contrario di lui stanno bene.
L’unica possibilità per l’uomo topo di alleviare questo suo stato di dolore è dato dal provare piacere quando l’altro, cioè un individuo da lui considerato come “fortunato”, si trova finalmente nella sua stessa condizione.
Il lockdown infatti è un po’ una metafora della topaia. Milioni di esseri umani sono stati costretti “come topi in gabbia” a rifugiarsi nelle loro tane. Perciò sono stati privati della loro normale condizione di libertà. Chi soffre della sindrome del topo invece, vive perennemente in uno stato di prigionia, perché considera il proprio stato di sofferenza mentale come immutabile.
Ecco dunque che la Schadenfreude dell’uomo topo, consiste nel provare godimento quando, con il lockdown imposto dal governo, l’uomo libero finalmente si trova nella sua stessa condizione, perché la sua libertà personale viene limitata addirittura dalla legge.
Questo per l’uomo topo costituisce il massimo del godimento, perché finalmente egli sperimenta quella “giustizia” che da sempre gli manca. Poiché, in quanto impotente di attuare il più piccolo cambiamento nella sua vita, nella sua mente e nella sua incapacità di provare emozioni, l’uomo topo trova finalmente una sensazione di “giustizia” nel vedere limitata la libertà altrui.
La giustizia vera è invece la meccanica sulla quale si basa la Coscienza
Coscienza e Giustizia sono concetti interdipendenti tra loro perché non può esserci l’una senza l’altra e sappiamo che Coscienza è anche sinonimo della vita stessa, perché senza Coscienza non può esserci vita.
L’ingiustizia che costituisce la visione del mondo dell’uomo topo è l’antitesi della vita, perché se si guarda all’universo come dinamica ingiusta, il significato stesso della vita viene meno, perché anche la vita sembrerà ingiusta e quindi brutta.
Il soggetto non apprezza più la vita, non la ama più e comincia a detestarla.
Gli uomini topo provano animosità, rancore, invidia e disprezzo per chi gode della propria esistenza. Perciò l’uomo topo detesta la vita ed è incapace di amarla perché non ama se stesso. L’uomo topo non può amare se stesso in quanto, auto-convintosi di essere destinato a soffrire, è arrivato al punto di amare quella sua condizione di schiavitù mentale e detestare qualunque forma di vita a partire dalla propria.
A questo riguardo l’habitat mentale del topo di fogna è caratterizzato da un altro elemento psicologico tipico di questa sindrome: la necrofilia. Lo abbiamo visto durante il lockdown quando la frase tipica degli uomini topo contro lo scetticismo umano era un refrain continuo:“andate negli ospedali, andate a parlare con gli infermieri”.
Un’altra frase tipica che l’uomo topo ha usato come bandiera durante il lockdown è: “vallo a dire ai parenti dei morti”. In quest’ultima frase la proiezione è simbolica perché, quando l’uomo topo si riferisce ai parenti dei morti, sta in realtà parlando dei propri parenti, i quali devono convivere con un morto che è lui stesso.
L’uomo topo è infatti un uomo che, essendo “morto dentro” ed essendo altresì convinto di non poter fare niente per cambiare questa sua condizione, cerca in tutti i modi di trascinare individui normali verso il suo stato necrotico.
L’uomo topo è morto nell’anima ma nonostante questo, egli è un devoto della sopravvivenza, perché è spaventato dalla morte. La morte lo spaventa perché, nel profondo del suo inconscio, è celata la consapevolezza che la sua vita si basi su un principio che non rispetta la giustizia e l’assenza di giustizia è assenza di coscienza e assenza di coscienza significa che non si è più vivi.
Durante l’emergenza sanitaria che abbiamo sperimentato negli ultimi mesi, l’uomo topo è stato superattivo nel rispettare i protocolli sanitari insensati imposti dal governo e nel farli rispettare anche agli altri, andando fiero di questa sua condotta di “guardiano dell’ordine necrotico.”
In pratica l’uomo topo con l’emergenza dovuta al Covid 19 ha subito una vera e propria rinascita, perché si è convinto che finalmente l’umanità intera, e non solo lui, fosse precipitata nell’abisso dell’incertezza e della paura che costituiscono il suo habitat naturale.
Finalmente quell’incubo quotidiano collettivo riusciva a dargli una sensazione di sollievo ma sopratutto di giustizia, perché portava nella sua vita una sensazione di uguaglianza con tutti gli altri esseri umani, i quali finalmente avrebbero potuto iniziare a provare lo stesso senso di terrore che gli uomini topo provano da sempre.
Sindrome del topo ed emergenza
In conclusione l’emergenza sanitaria del Covid 19, da marzo 2020 ha portato morte, malattia, restrizioni della libertà di movimento, annullamento delle relazioni sociali, distruzione della vita sociale, dei rapporti umani e minaccia alla condizione naturale dell’essere umano che è quella della libertà. Ma l’uomo consapevole ha risorse all’interno di sé infinite e avrà sfruttato questo periodo per lavorare ancora di più su stesso, per migliorarsi e continuerà ad impegnarsi per manifestare nel modo più chiaro possibile la sua contrarietà a questo tipo di restrizioni.
Invece per gli uomini topo l’emergenza sanitaria ha ripristinato una condizione di giustizia, perché finalmente anche gli altri hanno iniziato a soffrire a causa delle restrizioni imposte dal governo.
Uguaglianza finalmente! Per questo motivo per gli uomini topo, l’incubo collettivo del Covid 19 non solo deve durare il più a lungo possibile ma deve essere difeso con tutte le forze dalla comunità degli uomini topo, perché questo incubo rappresenta la loro rivalsa nei confronti di chi sta bene.
Se avessimo l’opportunità di esaminare più a fondo il profilo psicologico di questi “guardiani dell’ordine necrotico”, scopriremmo che si tratta di persone che hanno una storia personale disseminata di problemi, quali l’accettazione di se stessi, problemi di integrazione sociale e di abusi. Perciò questa situazione costituisce per loro un’opportunità unica di rivalsa nei confronti di questo mondo ingiusto che li ha costretti secondo loro a una vita di sofferenza.
Tuttavia la sensazione di uguaglianza che scaturisce dalla sofferenza collettiva è in realtà soltanto un palliativo, perché non si tratta di vera uguaglianza ma solo di un’illusione. Una volta terminata l’emergenza e le misure restrittive, gli uomini topo ritornerebbero nel loro stato mentale di sempre. Perciò quell’illusione che si fonda sulla paura non può finire, perché gli uomini topo si nutrono di paura come dei tossicodipendenti di eroina. Quindi sono pronti a tutto pur di difendere questo stato di terrore e la loro malattia cronica.
Questi individui costituiscono perciò la base del consenso di questo nuovo regime della paura. E quale migliore base di consenso può avere un regime del terrore che si basa su una montagna di menzogne, se non un collettivo di uomini topo che fanno dell’ingiustizia la loro stessa ragione di vita?
Ma la paura costituisce anche il loro limite, perché la loro visione del mondo, essendo basata su un principio di ingiustizia e quindi di incoscienza, li rende vulnerabili alla luce della Coscienza.
Per questo motivo è cruciale fare luce su questa trappola psicologica, affinché chi ne soffre ne diventi consapevole. Questo è un momento in cui tutti noi dobbiamo lavorare di più su noi stessi, cercando di comprendere che le avversità non sono una condizione ineluttabile ma anzi dovrebbero costituire il segnale che è il momento di attuare delle correzioni e cambiare la nostra vita.
Nella foto: Peter Pettigrew l’uomo topo interpretato da Timothy Spall in Harry Potter e il prigioniero di Azkaban (2004)