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Chernobyl, la Rai: “Ecco il video della centrale” ma era l’ospedale di Trieste

Subito dopo il disastro nucleare di Chernobyl, i giornalisti si misero a caccia di notizie. I primi di Maggio arrivò un video, ma si rivelò una truffa.

La cortina di ferro che innalzò l’Unione Sovietica fu sempre molto stretta e le notizie arrivavano col contagocce al fine di mantenere massima segretezza.

Il problema del disastro nucleare di Chernobyl, tuttavia, riguardava l’intera Europa, pertanto i giornalisti e le emittenti televisive si prodigarono per avere importanti informazioni da annunciare.

I primi giorni, però, il lavoro fu particolarmente duro e non portò quasi a niente. I primi di Maggio un’inaspettata telefonata cambiò tutto.

Un anonimo chiamò la sede di Roma della Abc e Nbc dicendo di avere incredibili e inedite immagini del reattore, ma per mostrarle voleva tanti soldi.

Senza esitare, le emittenti acquisirono il filmato e il 12 Maggio 1986 lo mandarono in onda. Una ciminiera fumante, alcuni palazzi di cemento squadrati, un bacino d’acqua. Fu lo scoop del momento: il disastro nucleare di Chernobyl era davanti agli occhi del mondo.

Il filmato arrivò anche alla Rai. Mentre scorrevano le immagini, qualcuno si accorse che qualcosa non andava, che quel posto sembrava familiare a qualche italiano.

Alla fine riconobbero il posto. Altro che Chernobyl, la città nel filmato era Trieste, riconosciuta dal fatto che quegli edifici altro non erano che l’ospedale di Cattinara e un cementificio locale.

Ecco chi furono gli autori della truffa

Nelle ore successive alla scoperta, una serie di concitate telefonate diffusero la notizia del video falso. Il 14 Maggio Peter Jennings dell’Abc e Tom Brokaw della Nbc si scusarono col mondo.

A questo punto sorse un’altra domanda: chi ha girato quelle immagini di Trieste spacciate per quelle di Chernobyl?

Le accuse rimbalzarono senza sosta: inizialmente alla Rai, poi a qualche turista jugoslavo.

Alla fine ecco che saltò fuori il nome: Thomas Garenq, 24 anni, francese. A vendere il filmato, però, fu accusata l’agenzia giornalistica “Albatross”, con sede proprio a Trieste.

Il 9 Giugno arrivò il colpo di scena: in un trafiletto di scuse fu il “New York Times” ad ammettere le proprie colpe. La cifra della vendita del filmato sarebbe stata di 11 mila dollari.

Thomas Garenq, dopo che né l’Abc né la Nbc sporsero denuncia, fu subito rilasciato in libertà e la storia finì qui.

Non ci spaventiamo, dunque, se in un mondo come quello attuale, in cui le informazioni girano incredibilmente veloci, scopriamo tante fake news: è sufficiente stare un po’ più attenti.