HomeItaliaCostretto a orinarsi addosso e a continuare a lavorare: risarcito operaio

Costretto a orinarsi addosso e a continuare a lavorare: risarcito operaio

La vicenda risale a febbraio del 2017 quando a un operaio della Sevel S.p.a. di Atessa venne vietata la pausa bagno costringendo l’uomo all’unica alternativa possibile: farsi la pipì addosso. 

Sembra impossibile che in una società come la nostra possano accadere queste cose. Un operaio al quale era stata vietata la pausa bagno si è urinato addosso mentre provava a raggiungere la toilette.

Lunedì il giudice del lavoro di Lanciano, Cristina Di Stefano, ha condannato l’azienda italo-francese produttrice del Ducato, accogliendo il ricorso del lavoratore.

La società, con sede a Chieti, dovrà pagare un risarcimento per danni all’immagine che ammonta a 5mila euro e le spese processuali.

Vietata la pausa bagno: ecco come è andata

I fatti risalgono al 7 febbraio 2017. Erano le 16:45 quando il lavoratore ha azionato il dispositivo di chiamata di emergenza per allontanarsi dalla postazione.

Nessuno risponde alla prima chiamata dunque aziona il dispositivo della postazione vicina. Anche questa volta nessuno gli dà il permesso di allontanarsi.

Scrive il giudice: «Giunto allo stremo, e non avendo alternativa alcuna lasciava la postazione e correva verso i servizi igienici, non riuscendo a evitare di minzionarsi nei pantaloni».

«Nonostante ciò riprendeva immediatamente il suo lavoro – continua il giudice Di Stefano – chiedeva di potersi cambiare in infermeria, ma tale permesso gli veniva negato».

L’operaio riesce a cambiarsi solo alle 18 durante la pausa, in quello che è chiamato Box Ute, davanti a tutti i lavoratori, donne comprese.

L’avvocato Braccioli, soddisfatto della sentenza, dichiara: «Al dipendente è stato arrecato un concreto e grave pregiudizio alla dignità personale, alla reputazione, dal momento che è stato visto dai colleghi di lavoro con i pantaloni bagnati per essersi urinato addosso».

Anche l’Unione sindacale di base (Usb) ha sostenuto l’operaio: «La sentenza ha reso giustizia al lavoratore in questione, restituendogli in parte la dignità che rimane irrimediabilmente lesa, anche per le conseguenze che la vicenda ha inevitabilmente generato a livello morale e psicologico» .